L’approvazione del collegio dei docenti (anzi: del “collegio delle insegnanti” diceva il testo di allora), assieme agli specialisti e psicopedagogisti, era prevista da una circolare ministeriale del 1975, la n. 235 del 5 settembre. Non l’ho inserita nel nostro repertorio della normativa perché totalmente superata, ma se interessa si trova ancora facilmente in rete.
Un solo particolare per dire quanto sia una norma vecchia e inapplicabile: il collegio doveva decidere se trattenere il bambino ma anche se farlo iscrivere alle scuole elementari in una classe differenziale.
La normativa da allora è profondamente cambiata, pensiamo solo a due “dettagli” come l’integrazione e la conseguente fine delle classi differenziali (1977) e l’autonomia scolastica (1999). Far prendere oggi una decisione del genere al collegio dei docenti di un istituto comprensivo, composto per oltre il 90% da persone che non conoscono il bambino di cui si discute ma spesso neppure la realtà della scuola dell’infanzia, non ha nessun senso. Ma molto spesso la scuola autonoma ha la capacità, oltre ogni ragionevolezza, di conservare per inerzia tutte le procedure, anche le più inutili, salvo poi lamentarsi dell’eccesso di burocrazia. Perdonate l’osservazione.
Il collegio dei docenti può prendere decisioni a livello generale, ma sul singolo bambino può decidere solo chi lo conosce. Sono in linea con questa posizione alcuni pronunciamenti recenti del MIUR, come la nota 547 del 2014 che assegna il compiuto di decidere sulla permanenza ai docenti della sezione, agli specialisti e ai genitori, con parere finale del dirigente. Nel caso in questione, con il parere negativo degli insegnanti della sezione già acquisito, la proposta di permanenza all’infanzia poteva essere considerata respinta senza bisogno di questa votazione. Ed evitando anche la penosa osservazione finale sul docente che voterebbe per motivi personali essendo anche genitore di un bambino con autismo.